Gorizia è un’incantevole cittadina adagiata sulle sponde del fiume Isonzo, alle pendici dei declivi del Collio e ai confini con la Slovenia.
Ha una storia articolata e molto antica: le prime testimonianze dell’abitazione di questi luoghi ci provengono dal primo secolo a.C., quando il Castrum Silicanum (oggi in Slovenia), presidio romano alla bocca della valle dell’Isonzo, rappresentava il primo nucleo della città. Nucleo sito a breve distanza da uno dei punti cardine del sistema viario romano: il Pons Sontii, il ponte della via Gemina sull’Isonzo, vera e propria porta ad est dell’Impero, su cui transitarono le legioni prima e i barbari poi, durante le invasioni.
Ma è del 1001 un atto che ricorda il nome della città, presente in una donazione in cui Ottone III cedeva alcuni possedimenti al patriarca aquileiese Giovanni e al conte del Friuli Guariento.
La Contea di Gorizia, nel medioevo, fu una delle più importanti ed estese nel panorama europeo, in special modo tra la seconda metà del XIII e primi decenni del XIV secolo: basti pensare che incluse persino le città di Treviso e Padova, ma comprese anche Carinzia e Tirolo: i conti goriziani risiedevano a Lienz.
Successivamente, i conti divennero vassalli della Serenissima, che era subentrata al Patriarcato e nel 1500 Leonardo, ultimo conte, morì senza eredi. La città passò a Massimiliano I d’Absburgo e sotto questa casata vi rimase, eccezion fatta per un periodo tra il 1508 e il 1509, quando fu occupata militarmente da Venezia.
La Lega di Cambrai, con la battaglia di Agnadello, pose fine alle velleità espansionistiche di Venezia e Gorizia, anche a seguito di quegli eventi, tornò in mano agli Absburgo: i conti della città, da questo momento e fino al 1918, saranno gli stessi imperatori absburgici.
Durante la Grande Guerra, Gorizia fu assolutamente in prima linea e nella cruenta Battaglia di Gorizia, tra il 9 e il 10 agosto 1916, perirono circa centomila tra ufficiali e fanteria, sui due fronti italiano e austriaco.
Persa a seguito della rotta di Caporetto (ottobre 1917), la città venne definitivamente ripresa dall’esercito italiano il 7 novembre 1918.
L’opera di ricostruzione fu effettuata soprattutto durante il ventennio fascista. In quegli anni furono promossi interventi di risanamento, aperte nuove strade e sviluppata una modesta area industriale, oltre a una cittadella sanitaria, comprendente anche l’ospedale da cui, negli anni sessanta, il medico Franco Basaglia avrebbe dato avvio alla riforma dell’istituzione psichiatrica italiana.
Cittadina multi etnica e muticulturale da sempre, si parlano oltre all’italiano, il friulano, lo sloveno e il tedesco, a ricordo dell’impronte asburgica, particolarmente potente agli inizi del ‘900.
E’ questo il periodo d’oro della città, ricca di alberghi, di strutture termali e vera e propria città giardino, meta dell’alta borghesia e della nobiltà asburgica come centro di villeggiatura. Cosa che le valse l’appellativo di Nizza Austriaca e il collegamento, tramite un’ingegnosa e ardita ferrovia alpina –la Transalpina– il collegamento ferrato con la Carinzia. Proprio a Salcano, oggi Slovenia, la ferrovia scavalca il corso del fiume Isonzo mediante l’arco in pietra più grande del mondo, costruito dagli austriaci e ricostruito dagli italiani, dopo l’offesa bellica.
Da menzionare anche l’aeroporto militare, uno dei più antichi e gloriosi italiani, sede del IV stormo caccia, nato dalla fusione di alcune squadriglie di assi della Prima Guerra, tra cui la 91 esima. Della quale fece parte anche Francesco Baracca, asso degli assi, che lasciò in dotazione al IV stormo il celeberrimo simbolo del cavallino rampante. Simbolo che poi sarebbe divenuto celebre nel mondo in quanto la contessa Paolina de Biancoli, madre dell’asso dell’aviazione, dopo una gara automobilistica cui partecipò da spettatrice, propose a Enzo Ferrari di utilizzare il Cavallino Rampante sulle sue macchine, sostenendo che avrebbe portato fortuna.
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